Nel suo profondo commento a una variante apocrifa del vangelo di Giovanni, Enzo Bianchi ci conduce al cuore del ministero pastorale, ricordandoci che la vera guida non si misura dal compito svolto, ma dall’amore che lo anima.
I vangeli apocrifi sono testi antichi che raccontano episodi della vita di Gesù e dei suoi discepoli, ma che non sono stati inclusi nel canone ufficiale della Bibbia. Il termine "apocrifo" non va letto necessariamente in chiave negativa: indica piuttosto scritti "nascosti" o "non ufficiali", spesso redatti in epoche successive rispetto ai vangeli canonici. Alcuni di essi, pur non riconosciuti come ispirati dalla Chiesa, contengono intuizioni spirituali e teologiche che continuano a interrogare la coscienza dei credenti.
Nel passo riportato da Bianchi, il dialogo tra Gesù risorto e Pietro non ruota più attorno al semplice “pasci le mie pecore”, come leggiamo nel vangelo canonico di Giovanni (cap. 21), ma si intensifica con un imperativo più radicale: “Ama le mie pecore”. Non basta essere pastori, sembra dirci l’autore di questa variante: bisogna amare. Occorre una qualità relazionale profonda, affettiva, coinvolgente. Non si tratta solo di guidare o nutrire, ma di mettersi in gioco nel dono totale di sé, come ha fatto il Pastore per eccellenza: Gesù.
Questa sottolineatura è tutt'altro che marginale. È una provocazione rivolta non solo a chi esercita un ministero nella Chiesa, ma a chiunque abbia una responsabilità educativa, relazionale o comunitaria: puoi anche "fare bene" il tuo compito, ma se non ami coloro che ti sono affidati, manca qualcosa di essenziale.
Il testo apocrifo e il commento di Bianchi ci interrogano allora con forza: quanti “pastori” oggi esercitano il loro ruolo senza amare il proprio gregge? Quanta distanza tra il governare e il servire con amore? In un tempo in cui l'autorità spesso si presenta fredda, distante, formale, questa pagina dimenticata ci ricorda che l’unica autorità che si comprende nel Vangelo è quella che nasce dall’amore, non dal potere.
Come scriveva san Gregorio Magno, con una lucidità ancora attuale: “Le pecore rispondono all’amore di chi le ama”. Forse dovremmo tutti chiederci, con umiltà e coraggio: le persone che ci sono affidate si sentono amate o solo "gestite"?
Carmelo Vitellino
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